sabato 3 marzo 2012

Un metodo adatto a valutare un allevamento di polli, è adeguato per giudicare una scuola?


Offro alcune riflessioni su cosa dovrebbe comportare una valutazione della scuola.
Intanto liberiamoci di alcune tossine ideologiche, di cui siamo portatori nostro malgrado, figli dei nostri tempi.
Un luogo comune diffuso, è che la scuola e i docenti non sono valutati, praticamente fanno quel che vogliono. Oltre le valutazioni informali degli studenti e delle famiglie, ci sono altre forme di controllo:
amministrativi, le procedure a cui dobbiamo attenerci per praticare il nostro ruolo, sono stringenti, numerose, spesso invasive,  “strozzati” da carte, codicilli, criteri, leggi, normative, circolari ecc. Sono spesso oggetto di ricorsi, valutati dalla giustizia amministrativa. Ogni scrutinio ce lo ricorda con ossessione
didattici: programmi ministeriali, di istituto, di area e personale. Comporre il percorso didattico è un equilibrio (concetto che starà alla base di tutte le mie considerazioni) tra questi vari livelli. Programmare in difformità è possibile, ma va motivato, quindi può essere oggetto di contestazione. L’equilibrio tra autonomia e regolamentazione non può che sottostare ad ogni operazione e valutazione del processo di insegnamento: rompere questo equilibrio è un grosso rischio; starci dentro ha dei costi, in termini di controlli oggettivi e di arbitrio, uscirne fuori è la morte della professione e della scuola democratica.
disciplinari: ce ne sono più di quanti se ne sappia, spesso per banalità o perché invisi al dirigente; soprattutto con la Brunetta, sono moltiplicati. Molti colleghi non lo rivelano, ma fonti sindacali confermano l’escalation. Anche prima non si escludevano: per il rispetto dell’orario, per adempimenti amministrativi, per comportamenti inopportuni ecc. Ovvio che anche per i lavoratori della scuola, come per molte altre categorie, nello stato di diritto, ci sono garanzie, ma queste non coincidono affatto con l’impunibilità. Ci sono inoltre controlli ispettivi, per la scuola e per i docenti, più di quelli noti, non di rado sollecitati dai genitori con una semplice segnalazione al csa.
Questi sono esempi di come siamo controllati e valutati, nei limiti in cui si può agire su una professione ed in un sistema che deve proporre e praticare libertà, autonomia, responsabilità, saperi, formazione, cittadinanza ecc.
Si può operare una valutazione di sistema per conoscere la realtà scolastica, i risultati, i punti di forza, alcuni limiti, utilizzando montagne di dati, di relazioni, di analisi. Fotografare la scuola è un’operazione possibile anche senza costruire un meccanismo competitivo e verticistico. In che condizioni versano le suole è noto un po’ a tutti, così come le soluzioni (?) che si cercano. I csa, usr e sigle varie, hanno elementi per sapere cosa accade nelle scuole.
Chi non rimane soddisfatto dai punti precedenti, è perché in  realtà ha in mente un altro tipo di valutazione, quello del prodotto: giudicare la qualità dell’insegnamento, verificare se la scuola fa il suo dovere, come e con quali risultati.
Le prove standardizzate dovrebbero rispondere a questa esigenza, però mancandola e pervertendola. Ma si può pensare qualche altra modalità che non abbia queste pericolose controindicazioni?
La vedo durissima. I risultati degli esami di stato si prestano a troppe discrezionalità, soprattutto se diventassero metro di giudizio delle scuole “concorrenti”; anche gli esiti successivi al grado di scuola frequentato, è di difficile uso, troppo condizionato da variabili incontrollabili e di ardua riconduzione alla qualità della offerta formativa ricevuta. Senza contare che valutare una scuola elementare sui risultati avuti dal ragazzo alle medie, richiederebbe la certezza che le medie siano neutre e valide, non meritevoli a loro volta di essere valutate (dalle superiori ecc.) e così via.
Il semplice successo scolastico è di dubbio uso: basterebbe promuovere tutti a prescindere.
Inoltre, bisogna porsi la domanda di fondo: qual è il nostro obiettivo? Cosa dobbiamo fare in quanto scuola? Gli apprendimenti sicuro, ma solo quelli? La formazione civile e sociale, guidare la persona verso la crescita, la parte generalmente catalogata come obiettivi formativi, socio-affettivi, non cognitivi, per entrare in una enormità di funzioni, azioni, compiti restii ad essere racchiusi in codici quantitativi. Le sperimentazioni Vales e VSQ “saggiamente” li evitano, ma tutti questi aspetti non sono secondari o marginali, né per il nostro lavoro, né per le attese degli studenti e delle famiglie, né per le richieste ministeriali, né per il nostro profilo professionale. Come si valutano?
Si entra in sdrucciolevoli ambiti qualitativi, ineliminabili se parliamo di noi e della scuola, pericolosi quando li si vuole trasformare in misurazioni quantitative.
Nemmeno pongo la vergognosa pretesa (fatta propria da presidi di area ANP), di mettere in capo al dirigente la valutazione di docenti, come un qualsiasi lavoro esecutivo. Offenderei la vostra intelligenza se spiegassi perché sarebbe un “crimine”.
Si può sempre pensare di affidare il compito di giudicarci agli studenti (personalmente li ritengo i giudici più credibili) e alle famiglie: mettere le nostre carriere in mano a genitori lontani o giovani ragazzini/e, penso non faccia al nostro caso. Alle elementari, poi ...
Allora?
Sono dell’opinione che questi aspetti rifuggano da valutazioni “obbiettive”, da pretesi meccanismi virtuosi. Penso sia preferibile avere qualche elemento non all’altezza, piuttosto che “avvelenare i pozzi” cercando di disfarsene, con l’illusione delle valutazioni “oggettive”, del fiato sul collo agli incapaci e ai “fannulloni”, della rinuncia al delicato equilibrio tra libertà e responsabilità/controllo: il danno supera infinitamente il guadagno.
Accade già per altre categorie (forze dell’ordine, vigili del fuoco, esercito, magistratura); anche per il sistema dell’istruzione bisogna farsene una ragione: metodi adatti a valutare un allevamento di polli, è inadeguato  a giudicare una scuola.
Qualche proposta, buttata lì, che potrebbe migliorare la scuola, senza rincorrere i deliri efficientisti:
- risorse. Hanno tagliato 8 miliardi di €. Come? Togliendo dalla pianta organica 150 mila docenti e ata. D'altronde quasi tutto il bilancio della pubblica istruzione va in stipendi, che risultano essere i più bassi tra i paesi industrializzati: ergo, spendiamo quasi tutto per sottopagare i docenti.
Una recentissima ricerca dell’Ocse ha messo in luce come i migliori sistemi scolatici sono risultati quelli dove non si boccia (inclusivi, non selettivi) e dove gli insegnati guadagnano di più, tutti, come categoria. Smettiamo di parlare del merito e di esclusione applicato agli studenti e raddoppiamo gli stipendi e avremmo risolto. A tutti, senza la litania confindustriale: “aumenti sì ma solo ai migliori …”: la professione, la sua attrazione verso i migliori laureati, il rispetto sociale costituiscono una base per svoltare. Non è solo provocazione: è un esempio concreto, testato da una ricerca internazionale, per migliorare nettamente la scuola. Interessa?
- carriera: in Germania i docenti possono sottoporsi ad esame per fare carriera, cioè occupare posizioni più elevate rispetto al semplice lavoro in classe. Noi invece pensiamo che la carriera sia pagare i “meritevoli” che stanno in classe, etichettando i “bravi” (più pagati) e i “non bravi”, meno pagati. I genitori pretenderanno in massa di voler affidare i figli a quelli non bravi … In Bocconi sembra che vogliano applicarlo: pagheranno di più i meritevoli. E gli altri? Li licenzieranno, penso, perché ammettere di avere in organico insegnanti non meritevoli, non fa fare certo una bella figura all’università dell’efficienza e del merito.
- ricordate le sperimentazioni? Mettere in condizione le scuole di programmare, di costruire, di innovare, di crederci. Tutto normalizzato, dall’alto. Le sperimentazioni costano; poi creano scompiglio, tutte quelle prove di maturità così diverse … Si sono cancellate, senza che da esse abbiano tirato fuori il meglio: la riforma ha avuto la priorità di tagliare, non migliorare
- formazione: no comment, sparita se non per i volenterosi che se la cercano e se la pagano.
L’opinione pubblica si lascia invece incantare dai piazzisti della competizione a tutti i costi.
Bisognerebbe spiegar loro dov’è il trucco. Come? Temo ci voglia un’altra puntata.
Mario Secone

considerazioni sui progetti VSQ e Vales (valutazione del sistema scolastico)


Sono in corso 2 sperimentazioni ministeriali sulla valutazione scolastica, il VSQ, partito l’anno scorso in epoca gelminiana, e il Vales, che dovrebbe partire quest’anno (termine per l’adesione delle 300 scuole entro il 12 marzo).
Il progetto Vales ha avuto, sulle bozze della sua presentazione, più consensi che critiche, anche per la decisione di non condizionare l’erogazione dei fondi ai risultati di ranking tra le varie scuole coinvolte. In realtà, leggendo le circolari istitutive delle due sperimentazioni, le differenze sono minime, sostanzialmente ininfluenti sull’impostazione generale, figlia della legge 150 (cosiddetta Brunetta), ispirate ad una visione anglosassone della valutazione di sistema.
Entrambi i progetti prevedono una valutazione totalmente esterna:
1. rilevazione degli apprendimenti attraverso le prove Invalsi (italiano e matematica), con valore aggiunto contestualizzato
2. valutazione di un team di esterni, coordinati da ispettori e formati dall’Invalsi, che, utilizzando degli indicatori (non ancora noti), definiranno il livello scolastico
3. indicazione da parte del team di obiettivi di miglioramento, più o meno grandi a seconda di quanto l’istituto sia da correggere; in base alla gravità, si daranno fondi (10 mila o 20 mila €); differenza: nel Vales i fondi sono per tutti, nel VSQ vanno solo ai più bravi
4. gli istituti, in autonomia, usufruendo dell’Indire e delle università, faranno i compiti
5. il team torna per verificare se i compiti assegnati sono stati svolti; gli esiti della valutazione saranno pubblicati e consultabili da tutti (trasparenza)
Manca il seguito: cosa succederà a chi i compiti li fa male o non li fa? Il progetto non dice, ma proviamo a fare una ipotesi plausibile. E’ esattamente il sistema anglosassone di valutazione di sistema: calcolo degli apprendimenti, rilevazione delle incongruità, obiettivi da conseguire, verifica; il tutto fatto sempre da valutatori esterni; in Gran Bretagna e negli Usa, le scuole che non raggiungono gli obiettivi fissati dai valutatori, prima vengono penalizzate economicamente, poi si rimuove il dirigente, al terzo anno vengono chiuse con licenziamento di tutto il personale. C’è poco da scherzare.
Analizziamo i vari punti:
1. valutare gli apprendimenti con prove standardizzate, è ormai acclarato, da una letteratura scientifica sconfinata (soprattutto anglosassone, perché lì le ricerche le fanno), che è controproducente  e dannoso: il fenomeno del “teach to test”, addestrare al test, è l’effetto più comune: si impoverisce la didattica, le stesse competenze sottese non sono spesso favorite, gli aspetti più critici ed elaborati degli apprendimenti sono trascurati, non c’è attenzione alla individualizzazione dei percorsi ecc. (per chi volesse riferimenti di pubblicazioni sul tema, quasi tutte in lingua inglese, può chiederlo). Inoltre, in Italia l’aggravante è anche nelle competenze e nelle materie testate; alcune competenze di base di italiano e matematica. Ai diveersi licei, per capirci, non ci sarebbe NESSUNA considerazione per le lingue al linguistico, per latino e greco al classico, per la stessa matematica allo scientifico (i test sono uniformi per tutti gli ordini di scuola) ecc.; se la valutazione “oggettiva(?)” degli apprendimenti considera SOLO questi ambiti, tutte le altre discipline, di indirizzo e non, non conterebbero nulla. Quale effetto distorsivo si genererebbe, è intuitivo. Ovviamente anche altre tipologie di verifica e di competenze da sviluppare, sarebbero una “perdita di tempo”: il 90% del nostro lavoro sarebbe ininfluente per determinare ciò che i nostri studenti imparano a scuola.
2. il team esterno, gli “omini col ditino alzato”, che verrebbero a giudicarci. Chi sono? Propendo per qualche funzionario della burocrazia ministeriale, formati dall’Invalsi (magari con una ventina di ore “blendend”), un ente di una quarantina di dipendenti, oltre metà dei quali precari, commissariato (Cipollone, il presidente, si è dimesso l’anno scorso): costoro verrebbero a giudicare noi, cioè un gruppo di specializzati, che mangia pane e scuola da venti-trenta anni, con esperienze spesso notevolissime, con progetti gestiti e costruiti di livello eccelso: da noi penso sia il caso che costoro (anche l’invalsi) vengano anche ad imparare qualcosa, prima di “alzare il ditino”. Al di là della presunzione e dell’orgoglio (certo che possiamo sempre imparare, ma da qualcuno che può insegnarci: ce ne sono, ma certo non chiunque…), le scuole sono OGGETTO della valutazione, tutta esterna, senza avere la possibilità di essere protagonisti del sistema di valutazione stesso: questo vedremo ha degli effetti molto gravi in una istituzione dove si è chiamati ad esprimere, dalla stessa Costituzione, la propria autonomia e criticità.
3. “Gli omini dal ditino alzato” ci daranno gli obiettivi:
4. ora finalmente diventiamo protagonisti: di scegliere come fare i compiti, a chi rivolgerci ecc. Troppo buoni.
5. “Gli omini col ditino alzato” tornano a verificare se siamo stati bravi, altrimenti …
Altrimenti, temo la deriva anglosassone: questo sistema da lì viene, alla premialità si ispira, quindi…
I risultati verranno resi pubblici; anche se il Vales, al contrario del VSQ, non fa classifiche, esse sono di facile compilazione quando l’utenza vedrà i risultati che avremmo conseguito.
Metto in guardia dagli effetti che questa proposta può avere sulla scuola, e avrebbe in ogni settore che ha a che fare con i servizi pubblici essenziali (compresi forze dell’ordine, vigili del fuoco, ma per loro, chissà perché, non propongono il ranking; aggiungerei anche sanità, ma ormai è tardi, l’hanno già devastata), e che sulla autonomia si fondano, come garanzia per i cittadini (in questo caso soprattutto scuola e magistratura).
Il meccanismo di valutazione proposto tende alla verticalizzazione, al verticismo, alla subordinazione e alla forte limitazione dell’autonomia, puntando verso “l’impiegatizzazione” della professione, alla subordinazione esecutiva del ruolo. Il fine di chi propone questi metodi è esplicitamente questo, per i docenti e per i giudici.
Questo richiamo ha forte presa sull’opinione pubblica, poco consapevole di cosa significhi un sistema dell’istruzione dove l’autonomia e le libertà espressive, in tutte le forme, culturali e di pensiero, rappresentano la premessa fondamentale della formazione critica e libera degli studenti: un insegnante non libero, non può insegnare la libertà, non è credibile.
Questa autonomia ha un prezzo, che è dato dal cattivo uso che qualcuno ne fa, dall’arbitrio che a volte emerge: è un prezzo inevitabile, che va tendenzialmente corretto; ma prendere questi casi per togliere l’autonomia, di fatto e di diritto, darebbe un misero vantaggio: docili “impiegati” esecutori, ma una formazione civile, culturale e scientifica, limitata e impoverita.
La limitazione dell’espressione sarebbe la regola nelle valutazioni solo esterne, verticali (dall’alto verso il basso), senza potenti correzioni orizzontali: determinano, volutamente, l’adeguamento alle direttive (sotto forma di criteri), che bisogna rispettare per non chiudere.
Unite a questo le circolari di alcuni direttori regionali, nelle quali si intima a TUTTO il personale, dai presidi agli ata e ai docenti, di non fare dichiarazioni/affermazioni che possono ledere l’immagine del loro datore di lavoro, il Miur (e Gelmini): altro che libera espressione, ci sono presidi e docenti sotto provvedimento disciplinare per affermazioni sugli effetti negativi dei tagli della cosiddetta riforma. L’intento di subordinare il personale scolastico, compresi i docenti, è palese.
Corre voce che la valutazione di sistema c’è dovunque, come le prove standardizzate: non si dice però come sono, a quali fini tendono e dove sono: c’è una varietà sconcertante, noi copiamo dai sistemi inglese e americano, non da quello tedesco o francese, finlandese o spagnolo ecc: l’ideologia che si vuole auto validare.
Anche l'idea che non vogliamo essere valutati per "fare come ci pare è ricorrente", da parte degli “scimmiottatori” anglosassoni: un po’ di respiro e, in una seconda parte, proverò a delineare un profilo constuens.
Mario Secone

giovedì 13 maggio 2010

convegno di scienze sociali

Convegno di Scienze Sociali
(In ricordo di Carla Pellifroni)
I “NUOVI” RAZZISMI IN ITALIA: ANALISI E PROSPETTIVE

A cura delle classi 2SA e 2XA del Liceo Virgilio

Interverranno:
- Don Virginio COLMEGNA, presidente della Casa della Carità di Milano;
- Prof. Tommaso VITALE, sociologo, ricercatore e docente dell’Università Bicocca di Milano

Moderatore:
- Prof. Mario SECONE, docente di Scienze Sociali del Liceo Virgilio

Liceo Virgilio - Aula Magna, Piazza Ascoli, 2 - Milano
Sabato 8 Maggio 2010, ore 11.00

La partecipazione al convegno è aperta a studenti, docenti, genitori e persone interessate