Offro alcune riflessioni su cosa
dovrebbe comportare una valutazione della scuola.
Intanto liberiamoci di alcune tossine
ideologiche, di cui siamo portatori nostro malgrado, figli dei nostri tempi.
Un luogo comune diffuso, è che la scuola
e i docenti non sono valutati, praticamente fanno quel che vogliono. Oltre le
valutazioni informali degli studenti e delle famiglie, ci sono altre forme di
controllo:
amministrativi, le procedure a
cui dobbiamo attenerci per praticare il nostro ruolo, sono stringenti,
numerose, spesso invasive, “strozzati”
da carte, codicilli, criteri, leggi, normative, circolari ecc. Sono spesso
oggetto di ricorsi, valutati dalla giustizia amministrativa. Ogni scrutinio ce
lo ricorda con ossessione
didattici: programmi
ministeriali, di istituto, di area e personale. Comporre il percorso didattico
è un equilibrio (concetto che starà alla base di tutte le mie considerazioni)
tra questi vari livelli. Programmare in difformità è possibile, ma va motivato,
quindi può essere oggetto di contestazione. L’equilibrio tra autonomia e
regolamentazione non può che sottostare ad ogni operazione e valutazione del
processo di insegnamento: rompere questo equilibrio è un grosso rischio; starci
dentro ha dei costi, in termini di controlli oggettivi e di arbitrio, uscirne
fuori è la morte della professione e della scuola democratica.
disciplinari: ce ne sono più
di quanti se ne sappia, spesso per banalità o perché invisi al dirigente;
soprattutto con la Brunetta, sono moltiplicati. Molti colleghi non lo rivelano,
ma fonti sindacali confermano l’escalation. Anche prima non si escludevano: per
il rispetto dell’orario, per adempimenti amministrativi, per comportamenti
inopportuni ecc. Ovvio che anche per i lavoratori della scuola, come per molte
altre categorie, nello stato di diritto, ci sono garanzie, ma queste non
coincidono affatto con l’impunibilità. Ci sono inoltre controlli ispettivi, per
la scuola e per i docenti, più di quelli noti, non di rado sollecitati dai
genitori con una semplice segnalazione al csa.
Questi sono esempi di come siamo
controllati e valutati, nei limiti in cui si può agire su una professione ed in
un sistema che deve proporre e praticare libertà, autonomia, responsabilità,
saperi, formazione, cittadinanza ecc.
Si può operare una valutazione di
sistema per conoscere la realtà scolastica, i risultati, i punti di forza,
alcuni limiti, utilizzando montagne di dati, di relazioni, di analisi. Fotografare
la scuola è un’operazione possibile anche senza costruire un meccanismo
competitivo e verticistico. In che condizioni versano le suole è noto un po’ a
tutti, così come le soluzioni (?) che si cercano. I csa, usr e sigle varie,
hanno elementi per sapere cosa accade nelle scuole.
Chi non rimane soddisfatto dai punti
precedenti, è perché in realtà ha in mente
un altro tipo di valutazione, quello del prodotto: giudicare la qualità
dell’insegnamento, verificare se la scuola fa il suo dovere, come e con quali
risultati.
Le prove standardizzate dovrebbero rispondere
a questa esigenza, però mancandola e pervertendola. Ma si può pensare qualche
altra modalità che non abbia queste pericolose controindicazioni?
La vedo durissima. I risultati degli
esami di stato si prestano a troppe discrezionalità, soprattutto se
diventassero metro di giudizio delle scuole “concorrenti”; anche gli esiti
successivi al grado di scuola frequentato, è di difficile uso, troppo
condizionato da variabili incontrollabili e di ardua riconduzione alla qualità
della offerta formativa ricevuta. Senza contare che valutare una scuola
elementare sui risultati avuti dal ragazzo alle medie, richiederebbe la
certezza che le medie siano neutre e valide, non meritevoli a loro volta di
essere valutate (dalle superiori ecc.) e così via.
Il semplice successo scolastico è di
dubbio uso: basterebbe promuovere tutti a prescindere.
Inoltre, bisogna porsi la domanda di
fondo: qual è il nostro obiettivo? Cosa dobbiamo fare in quanto scuola? Gli
apprendimenti sicuro, ma solo quelli? La formazione civile e sociale, guidare
la persona verso la crescita, la parte generalmente catalogata come obiettivi
formativi, socio-affettivi, non cognitivi, per entrare in una enormità di
funzioni, azioni, compiti restii ad essere racchiusi in codici quantitativi. Le
sperimentazioni Vales e VSQ “saggiamente” li evitano, ma tutti questi aspetti
non sono secondari o marginali, né per il nostro lavoro, né per le attese degli
studenti e delle famiglie, né per le richieste ministeriali, né per il nostro
profilo professionale. Come si valutano?
Si entra in sdrucciolevoli ambiti
qualitativi, ineliminabili se parliamo di noi e della scuola, pericolosi quando
li si vuole trasformare in misurazioni quantitative.
Nemmeno pongo la vergognosa pretesa
(fatta propria da presidi di area ANP), di mettere in capo al dirigente la
valutazione di docenti, come un qualsiasi lavoro esecutivo. Offenderei la
vostra intelligenza se spiegassi perché sarebbe un “crimine”.
Si può sempre pensare di affidare il
compito di giudicarci agli studenti (personalmente li ritengo i giudici più
credibili) e alle famiglie: mettere le nostre carriere in mano a genitori
lontani o giovani ragazzini/e, penso non faccia al nostro caso. Alle elementari,
poi ...
Allora?
Sono dell’opinione che questi aspetti
rifuggano da valutazioni “obbiettive”, da pretesi meccanismi virtuosi. Penso
sia preferibile avere qualche elemento non all’altezza, piuttosto che
“avvelenare i pozzi” cercando di disfarsene, con l’illusione delle valutazioni
“oggettive”, del fiato sul collo agli incapaci e ai “fannulloni”, della
rinuncia al delicato equilibrio tra libertà e responsabilità/controllo: il
danno supera infinitamente il guadagno.
Accade già per altre categorie (forze
dell’ordine, vigili del fuoco, esercito, magistratura); anche per il sistema
dell’istruzione bisogna farsene una ragione: metodi adatti a valutare un
allevamento di polli, è inadeguato a
giudicare una scuola.
Qualche proposta, buttata lì, che
potrebbe migliorare la scuola, senza rincorrere i deliri efficientisti:
- risorse. Hanno tagliato 8 miliardi
di €. Come? Togliendo dalla pianta organica 150 mila docenti e ata. D'altronde
quasi tutto il bilancio della pubblica istruzione va in stipendi, che risultano
essere i più bassi tra i paesi industrializzati: ergo, spendiamo quasi tutto
per sottopagare i docenti.
Una recentissima ricerca dell’Ocse ha
messo in luce come i migliori sistemi scolatici sono risultati quelli dove non
si boccia (inclusivi, non selettivi) e dove gli insegnati guadagnano di più,
tutti, come categoria. Smettiamo di parlare del merito e di esclusione
applicato agli studenti e raddoppiamo gli stipendi e avremmo risolto. A tutti,
senza la litania confindustriale: “aumenti sì ma solo ai migliori …”: la
professione, la sua attrazione verso i migliori laureati, il rispetto sociale
costituiscono una base per svoltare. Non è solo provocazione: è un esempio
concreto, testato da una ricerca internazionale, per migliorare nettamente la
scuola. Interessa?
- carriera: in Germania i docenti
possono sottoporsi ad esame per fare carriera, cioè occupare posizioni più
elevate rispetto al semplice lavoro in classe. Noi invece pensiamo che la
carriera sia pagare i “meritevoli” che stanno in classe, etichettando i “bravi”
(più pagati) e i “non bravi”, meno pagati. I genitori pretenderanno in massa di
voler affidare i figli a quelli non bravi … In Bocconi sembra che vogliano
applicarlo: pagheranno di più i meritevoli. E gli altri? Li licenzieranno,
penso, perché ammettere di avere in organico insegnanti non meritevoli, non fa
fare certo una bella figura all’università dell’efficienza e del merito.
- ricordate le sperimentazioni? Mettere
in condizione le scuole di programmare, di costruire, di innovare, di crederci.
Tutto normalizzato, dall’alto. Le sperimentazioni costano; poi creano
scompiglio, tutte quelle prove di maturità così diverse … Si sono cancellate,
senza che da esse abbiano tirato fuori il meglio: la riforma ha avuto la priorità
di tagliare, non migliorare
- formazione: no comment, sparita se non
per i volenterosi che se la cercano e se la pagano.
L’opinione pubblica si lascia invece
incantare dai piazzisti della competizione a tutti i costi.
Bisognerebbe spiegar loro dov’è il
trucco. Come? Temo ci voglia un’altra puntata.
Mario Secone